Segni del Tempo – Giovani di AC da Papa Francesco, il racconto di Marta

Il fine di settimana di formazione per responsabili parrocchiali del settore giovani di AC si è concluso sotto la guida spirituale di Padre Giacomo Costa che ci ha aiutati, attraverso una tecnica gesuita, a cogliere sempre più in profondità i frutti delle giornate insieme fino a condensarli in una sola parola. E io? Quale parola mi porto a casa da questa esperienza? Dopo un po’ di meditazione sono giunta alla conclusione che la mia parola è invisibile.

Invisibile io, come il lievito. Impastata nel mondo, ma con l’augurio di restare sempre lievito. Come la luce resta luce, anche e soprattutto quando è circondata dalle tenebre. Questa è l’accalorata richiesta che ci ha fatto Papa Francesco durante l’udienza, un momento per me proprio emozionante: è stata una gioia potergli riconsegnare e, attraverso lui al Signore, il mio servizio di educatrice, il mio desiderio di prendermi cura dei giovani e giovanissimi che vivono accanto a me. E che bello poter ricevere dal papa, come da un buon padre, sostegno e anche qualche monito.

Invisibile, poi, come la vita di tanti fratelli che vivono al margine della società. Il tema dell’incontro, “Segni del tempo”, vuole indicare i giovani come interpreti dell’oggi, nuovi profeti, ovvero portatori della Parola di Dio. Per questo motivo, nel pomeriggio di lavoro, i circa duemila giovani coinvolti sono stati divisi in dieci convegni diversi su tematiche di attualità. Ciascuno ha potuto scegliere a quale partecipare a seconda della propria sensibilità. Io ho scelto il convegno con tema “Città: crocevia di popoli” dove alcuni ospiti hanno portato la loro testimonianza e alcune riflessioni sul tema dell’accoglienza, soprattutto in merito ai migranti. Tra gli spunti ricevuti quello che mi ha maggiormente colpito è stato come all’origine della criminalità spesso ci sia la sensazione di sentirsi invisibili. È un’esperienza simile a quella che vediamo nei bambini, che spesso combinano qualcosa proprio per farsi notare dai genitori e che avvertono la maggior rabbia e tristezza non tanto quando li si sgrida, ma quando li si ignora. Questi riflessi spontanei non si concludono con l’infanzia, ma ci accompagnano per tutta la vita, assumendo via via, in presenza di altre fatiche, un carattere sempre più critico, fino ad arrivare al confine della legalità o anche un po’ oltre. E credo che, mentre su tante questioni tecniche noi giovani (e noi persone comuni in generale) ci sentiamo impotenti, questa sia alla portata di tutti. Quante volte di fronte ad un senzatetto visto da lontano prendiamo in mano il cellulare, cambiamo marciapiede o ci inventiamo qualche trucco per avere lo sguardo occupato e fingere di non vederlo per non correre il rischio che ci chieda l’elemosina?! D’ora in poi io desidero invece che tutte le persone che incrocio sappiano che per me ci sono. Io le vedo. Forse è poco, è vero… ma mi sembra l’esperienza di Zaccheo: guardato da Gesù ha provato il desiderio di vivere nel bene senza che nessuno glielo chiedesse. Che bello poter essere, oggi, testimoni di questo sguardo! Perché come dice Armida Barelli:

Lavorate senza posa, ma soprattutto amate, amate, amate!