III domenica di Avvento
Is 61,1-2.10-11 / Sal Lc 1; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Un secondo posto
ricco di significato
Introduzione
Il messaggero, annunciato nel vangelo di domenica scorsa, è descritto in modo più dettagliato dall’evangelista Giovanni. Egli ci ricorda, infatti, i dialoghi che Giovanni Battista ebbe con sacerdoti e leviti, venuti da Gerusalemme per interrogarlo. Era forse il Messia? No, rispose Giovanni Battista: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia” (Gv 1,23).
Sant’Agostino commenta: “Giovanni Battista era una voce, ma in principio il Signore era il Verbo. Giovanni fu una voce per un certo tempo, ma Cristo, che in principio era il Verbo, è il Verbo per l’eternità” (Serm. 293)
“Egli – dice l’evangelista Giovanni – venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui”. Vi sentiamo un’eco del prologo: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9).
Anche noi dobbiamo essere suoi testimoni (Gv 15,27) e ciò, prima di tutto, nella santità delle nostre vite perché “mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia” (Is 61,10).
Due sottolineature:
Testimonianza
Giovanni non usa mai il termine ‘martire’ (=testimone) come qualifica di una persona, ma usa sempre il verbo: ‘rendere testimonianza’. La testimonianza, quindi, per la comunità giovannea, non è una qualità personale, ma è l’azione precisa del discepolo di riferirsi a qualcun altro in tutto ciò che dice e fa. Pur essendoci al tempo di Giovanni persecuzioni, non è martire colui che muore, ma colui che fa della sua vita un continuo rimando ad un altro più grande che deve crescere (cfr. Gv 3,30). La testimonianza dunque, secondo l’ottica del quarto vangelo, non è assimilabile alla coerenza di una persona eticamente corretta; né è la convalida di un fatto o di una parola ritenuta come vera. E non è neanche riducibile al solo mettere a rischio la vita per confessare la propria fede in Cristo. Rendere testimonianza, invece, è innanzitutto non parlare di sé, ma di un altro che si è scoperto più grande e più importante. In altre parole significa accettare di essere sempre al secondo posto, perché si sa chi tiene il primo posto.
“Chi sei tu?”
È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta è come in Giovanni, nello sfrondare da apparenze e illusioni la nostra vita. Io non sono l’uomo prestigioso che vorrei essere né il fallito che temo di essere. Io non sono ciò che gli altri credono di me, né solo peccatore. Io non sono il mio ruolo o la mia immagine… La mia identità ultima sta in Dio. Anche Giovanni comprende la sua identità (essere Voce, uno strumento) in rapporto al Cristo (che è la Parola, il senso). Senza Dio siamo nulla!